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Benvenuti su questo piccolo blog che ho aperto per dar luce ai miei scritti (racconti, poesie, eccetera) perché uno scritto senza lettori è una cosa triste.

mercoledì 21 marzo 2012

Il Mondo Sospeso delle Amazzoni


Camminando per le strade era circondata da figure a lei simili. Ovunque, attorno a lei, regnavano cartelloni con giganti che riproducevano un corpo come il suo. Ogni donna su ogni cartellone le sorrideva e si scopriva i seni, i fianchi, i glutei, orgogliosa del suo corpo femminile. Si sentiva quasi schiacciata da tutti quegli sguardi. Tutti quei corpi perfetti di donna che le si mostravano. Ogni uomo che passava vicino quelle figure ne rimaneva calamitato. Un’attrazione alla quale non si poteva sottrarre. Distoglieva lo sguardo dal volante, non ascoltava la telefonata, smetteva di controllare dove il cane facesse i suoi bisogni, spostava lo sguardo dai suoi figli a quelle gigantesse vittoriose. Lei camminava e osservava ogni donna che le sorrideva e ogni uomo innamorato di ciascuna di loro. Allo stesso modo si comportava il resto la città. La vita divenne più lenta, più tranquilla. Le passeggiate erano contemplative e i semafori rossi bene accetti. Tutti camminavano con il naso rivolto verso l’alto, verso i cartelloni. Le donne avevano conquistato il mondo. Tornò a casa che si sentiva un’altra, si sentiva fiera di sé stessa. In cucina, mentre tagliava le zucchine, accese la tv. Anche lì le donne erano ovunque. Non c’era un solo uomo senza una donna al suo fianco. Senza una bellissima donna che mostrava con fierezza le sue grazie. Nessun uomo era autonomo nelle schermo. Non c’era una trasmissione che non rendesse giustizia alla perfezione delle forme femminili. Fissò incantata la luce del televisore. Ne era come posseduta. Si sentiva nuovamente fiera. Quando andò davanti allo specchio si rese conto che non esaltava abbastanza la sua femminilità. Quei pantaloni e quella camicia non le rendevano giustizia. Uscì a fare shopping. Varcò la soglia di casa e si ritrovò in quel mondo dal naso in sù, in contemplazione della bellezza delle donne. Totalmente schiacciato dal loro potere. Avevano conquistato il mondo. Quando tornò a casa corse in camera e si infilò i vestiti nuovi. Vestiti da donna vera, da donna che dà ordini, da donna che comanda sugli uomini. Minigonna, maglia scollata e tacchi. Ora anche lei poteva mostrare la fierezza del suo sesso. Cenò che si sentiva un’altra. Finalmente era il capo della sua stessa vita e non più la schiava dei maschi. Sghignazzò mentre scolava la pasta. Aveva conquistato il mondo. Era il capo. Guardò la pasta. La fissò a lungo. Intanto pensava. La pasta è piena di carboidrati. I carboidrati fanno ingrassare. Un fisico grasso è privo di autorità sull’uomo. Gettò la pasta nella spazzatura e prese una carota dal frigo. Quando andò a dormire, dopo aver visto a lungo la televisione, era ancora più orgogliosa di prima.
Puntò la sveglia un po’ prima del solito per darsi il tempo di scegliere con cura i vestiti. Dopo aver trovato l’angolazione perfetta della scollatura uscì di casa. A testa alta. Mentre era in macchina osservava prima i cartelloni e poi il suo volto nello specchietto. C’era qualcosa che non andava. Non capiva cosa. Entrò in ufficio immersa nei suoi pensieri ed ebbe fin da subito i suoi risultati. Tutti erano catturati dal suo nuovo stile. Tutti la guardavano e la ascoltavano e facevano ciò che lei diceva loro. Finalmente poteva mostrare a tutti di essere fiera di essere donna e di essere conscia del suo potere. Ostentando la sua femminilità stava dimostrando al mondo di essere all’altezza di chiunque altro. In mensa mangiò un po’ di insalata.
Tornò a casa fissando i cartelloni assieme a tutti gli altri automobilisti e ai pedoni. Fu sulla soglia di casa che capì cosa le mancava.
La mattina dopo decise di fare il passo successivo. Cercò la sua vecchia trousse di trucchi, quella che non usava più da tempo. Gli occhi. Anche gli occhi erano un fattore importantissimo di comando. Si truccò pesantemente gli occhi. Così truccato il suo volto era ancora più somigliante a quelli dei cartelloni. Il suo sguardo era ancora più magnetico. Sarebbe stata sicuramente rispettata e ammirata da tutti. Si vestì con cura e andò al lavoro. In macchina continuava a sbadigliare, per prendersi il tempo necessario per viso e capelli si era dovuta svegliare molto prima del solito. Ma non aveva importanza, ormai era anche lei un’amazzone nel mondo, una gigantessa pronta a far carriera. Era il capo.
Da quando aveva preso questa nuova consapevolezza della sua femminilità le cose erano andate decisamente meglio. Gli uomini al lavoro le davano retta, le facevano un sacco di favori e la invitavano spesso a cena. Quando uscì con i primi si fece portare fuori in posti carini. Durante le cene parlava tantissimo, ma notò che non veniva ascoltata. Notò anche che appena messo piede fuori dal ristorante i suoi cavalieri non guardavano più lei, ma le figure sui cartelloni. Le gigantesse. Le vincitrici. Doveva mancarle ancora qualcosa.
Controllava che il suo peso calasse quotidianamente e si iscrisse in palestra. Uscì con molti uomini, ma il problema persisteva. Durante la cena non la ascoltavano e una volta fuori non guardavano più lei ma le donne sui cartelloni. In più ogni volta che nel ristorante c’era una donna con più scollatura o con un seno particolarmente grosso, guardavano lei. Non poteva sopportarlo.
Anzitutto, per dimostrare che era lei il capo, che era lei che decideva cosa fare, che era lei che dettava gli ordini iniziò a non parlare più. Poco dopo non si fece neanche più invitare a cena. Non esisteva non essere ascoltata. Doveva essere lei a decidere di non parlare. Nessuno poteva non ascoltarla. Lei stava conquistando il mondo assieme ad ogni altra donna.
In seguito decise di rifarsi il seno. Se era quella l’unità di misura del potere, era il momento di intervenire per aumentarlo. Per diventare più forte. Per diventare il capo. I risultati non tardarono ad arrivare.
Ma nonostante tutto i cartelloni avevano ancora la meglio su di lei. Non capiva. Si era truccata, era dimagrita, era andata in palestra, si era rifatta il seno, lisciata i capelli, aveva rivoluzionato il suo guardaroba. Cosa mancava ancora?
Poi capì. Guardò meglio quei cartelloni, la pelle di quelle donne, le loro perfezioni. Quelle donne non erano umane. Tutte quelle bellissime donne erano passate per un computer.
Così quella sera si fece una foto, la caricò sul computer e aprì un programma per modificarla. Lisciò la sua pelle, cancellò ogni imperfezione, snellì i fianchi e arrotondò i seni. E rinacque dea. Lei stessa era rinchiusa nello schermo e si fissava vittoriosa. Era perfetta, era esattamente come voleva essere. Così sì che avrebbe dominato il mondo. Così genuinamente e perfettamente donna. Mise la foto in rete, perché tutti potessero guardarla e innamorarsene e subirne il fascino. Quando andò a letto espresse un desiderio, voleva diventare così.
Si svegliò che la città era piccola sotto i suoi piedi, si svegliò che tutti i nasi erano puntati su di lei e la sua perfezione. Ogni uomo interrompeva ciò che stava facendo, ogni uomo si distraeva per alzare il naso e guardarla. Il suo cartellone era in una posizione centralissima. Nel suo immobilismo monumentale lei osservava il suo potere prendere possesso dei pensieri altrui. Dall’alto lei era finalmente perfetta. Rinchiusa in quella stampa lei era il capo e tutto il mondo era ai suoi piedi. Le donne avevano finalmente vinto.

Cristina Spinetti  ©

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